Il linguaggio della parola
Esiste ora il bisogno di interrogarsi sulle possibilità e la natura della propria pratica, constatando il limite e l’impotenza del linguaggio visivo e verbale rispetto alla realtà e intraprendendo quindi un processo in cui l’opera tende a perdere i suoi tradizionali significati espressivi e rappresentativi per assumere il valore astratto di ricerca linguistica: infatti l’artista non guarda più all’oggetto esterno, ma si ripiega su stesso, facendo un discorso sull’arte nel momento stesso in cui fa arte.
Parlando anche del titolo dell’opera e della didascalia relativa alle opere, esse non sono casuali, ma è una scelta consapevole in quanto il “titolo” e la parola non svolgono più una funzione descrittiva, denotativa, ma diventano protagonisti, creando una vera e propria rottura nella lettura convenzionale dell’opera e mostrando il processo mentale che ne è alla base. Non esiste più la rappresentazione, ovvero la riproduzione di un fatto possibile, ma piuttosto la presentazione di possibilità, e come direbbe Kosuth, di concetti, di azioni puramente mentali. Su questi paradossi, si basa, tra l’altro, il lavoro sul linguaggio di Bruce Naumann che è forse l’artista contemporaneo più importante degli ultimi cinquanta anni, una pietra angolare della storia dell’arte del dopoguerra,