Ezra Pound
Ezra Pound, nato il 30 ottobre del 1885 nel profondo e provinciale Far West (Idaho) e morto il 4 luglio 1972 in una città irreale come Venezia, è stato il più internazionale, inevitabile, imbarazzante poeta del Novecento. E’ il poeta “fascista”, il poeta “traditore”, il poeta “pazzo”, che visse 13 anni della sua lunga vita rinchiuso nel manicomio criminale di Saint Elizabeth’s di Washington; ma è anche il “grande fabbro” della poesia moderna, poeta “imagista”, l’ideatore di una nuova poesia fondata essenzialmente sull’elemento visivo.
In tutti i poeti, dai provenzali ai contemporanei, il sogno e l’amore occupano un posto di particolare rilievo; in Pound, però, come risulta dalla poesia in questione il rapporto è capovolto, nel senso che non sogna l’amore, ma si ama il sogno. Il sogno non è la poesia e neppure la conoscenza, ma non c’è conoscenza e non c’è poesia che non si abbeveri alle fonti del sogno. Esso, infatti, ci consente di dare vita a quel mondo di libertà e di immagini che è dentro di noi ma che nella realtà di tutti i giorni è necessariamente soffocato, dimenticato, accantonato e al contempo il sogno ci fa sapere che l’ordine apparente delle cose non è il loro unico ordine. Non bisogna però rinchiudersi nell’ambito del sogno altrimenti si corre il rischio di perdere il contatto con la realtà e con lo smarrire la propria individualità.
Il sogno deve avere soltanto una funzione liberatoria, consolatoria e “palingenetica”. Deve, cioè, liberarci dai limiti angusti della nostra vita quotidiana, confortarci nelle delusioni e nel dolore e farci ogni volta rinascere arricchiti da tutti i tesori del profondo.
Questa poesia, “arriva al punto”; arriva all’essenza dell’esistenza.